Il piacere di raccontare.
Il maresciallo guarda il brigadiere. Il brigadiere guarda il
maresciallo. L’ambulanza poco lontano da loro sembra sventolare nel vento
battente la campagna segnante il confine tra un gruppo di case squallide ed un
agglomerato di capannoni tristi. Scuotono la testa nello stesso momento come
fossero d’accordo. Se ne vedono tante di brutte cose nel loro mestiere, ma
questa è una di quelle a cui non ci si abitua mai. << Roberto
Artucci e Benedetta d’Angelo. Anni 23 entrambi. Residenti l’uno a Raude e l’altra
a Quercia Maggiore. >> legge il brigadiere da due carte
d’identità. Il maresciallo sospira. Guarda lontano. Fa fresco, il cielo è
grigio. Intorno una folla di gente osserva la scena delimitata dal nastro
adesivo rosso e bianco. Gli infermieri aspettano accanto ai due corpi coperti
da lenzuoli bianchi, distanti una ventina di metri l’uno dall’altro. L’auto,
guidata dal ragazzo a forte velocità, ha travolto la ragazza. La stessa auto ha
poi accelerato puntando contro un muro e lì schiantandosi. La dinamica
ricostruita da rilievi e testimoni è senza dubbi. Solo le interpretazioni sono
ancora possibili. Lontano rumore di traffico, di gente che si richiama. La vita
continua come sempre. Tranne qui. << Storia chiara. >>
mormora il brigadiere. Il maresciallo annuisce. Ci è passato altre volte. La
storia che si è svolta mezz’ora prima, ormai potrebbe raccontarla come se
l’avesse vissuta di persona.
<< Guarda che non c’è proprio più niente da
fare. >> dice Benedetta.
A quel suono duro, di voce decisa, Robi sente male dentro,
fino in fondo al cuore, allo stomaco, all’ultimo neurone del cervello.
Si sente dondolare nel vuoto e nel contempo cadere giù verso
un buio senza fondo.
<< Ma perché? Non capisco. Continuo a non
capire. >> insiste.
Lei aveva deciso di seguire i consigli delle amiche. Avrebbe
fatto la dura da film americano. Decisione e rapidità. Le amiche se ne
intendevano: non si perdevano una sola puntata dell’ora delle psicologhe in
televisione e meno ancora perdevano le rubriche dedicate alle esperte dei
rapporti d’amore, pubblicate sulle riviste preferite dalle donne.
<< Io cosa ho fatto che non ti è piaciuto? >>
Lui si ricorda la prima volta che aveva fatto all’amore con
lei. Si era trovato come in mezzo ai colori d’un gigantesco negozio di
giocattoli, in una gloriosa giornata di Natale ed i fuochi artificiali
riempiono l’aria di cascate di luce e boati di felicità sconfinata.
Lei si ricorda un’esplosione di fiori multicolori, dalle
corolle che spargevano scintille, dai petali bianchi e rosa scintillanti su
tutti i suoi peluches.
Per entrambi era stata una supernova rosso abbagliante
e poi lentamente una luna estiva, rilassante e rassicurante.
Sette anni di relazione d’amore, di sospiri, di piogge di
raggi di sole (così avevano definito una giornata particolarmente intensa).
Poi…
Il tempo non scusa perché non perde sé stesso a sistemare le
cose che invecchia: Robi e Benedetta si erano trovati sotto la luce di una luna
d’autunno e sempre meno fiori ed esplosioni magiche.
<< Cos’hai? Qualcosa che non va? >>
Robi domandava alla ragazza.
<< Niente. Un momento così. >>
rispondeva lei con un senso di disagio nuovo, ogni giorno più persistente.
La luce della luna, sempre più da faccia nascosta. Lui lo
percepiva: la lontananza di lei era sempre più netta.
Lei non capiva bene, ma era il momento della curva
discendente dell’entusiasmante volo e riconoscerlo non voleva.
<< Cos’è che è cambiato? >>
ripeteva lui.
<< Nulla. >> rispondeva lei. E
sentiva che le stelle che lui le aveva donato si trasformavano in scogli
scabrosi.
Non poteva opporsi a quella trasformazione e sentiva più
forte un senso di colpa nello scoprire che non voleva. Ed ancora più forte la
determinazione a lasciarsi trasformare in un’altra ragazza.
Era sempre più un fastidio quel rapporto. Una rappresentazione
teatrale abitudinaria… una falsità, il cui attore principale era il suo
sentimento cambiato. Cambiato verso Robi ed anche verso la vita come l’aveva
sentita finora.
Non avrebbe saputo spiegarlo nemmeno al dottor Freud in
persona cosa le succedeva.
Succedeva.
Inarrestabile come lo scivolare di una frana verso valle.
Non poteva opporsi a quel che sentiva.
Succedeva e basta.
Fino ad un anno avanti non credeva sarebbe cambiata così.
Non era colpa di Robi. Le spiaceva, ma succedeva ed opporsi
era assurdo.
Robi si sentiva sempre più un estraneo con lei. Non era
cambiato in modi e sentimento. Certo si era più rilassato nel loro rapporto.
Meno coccole, meno regali, meno attenzioni… Ma era sempre lì, accanto a lei.
Sempre innamorato. Sempre la sua indivisibile donna.
Lui aumentava le coccole, i regali: mazzi di fiori,
cianfrusaglie. Perfino gite al mare. Aveva diradato parecchio la compagnia
degli amici.
Poi le aveva aumentate per non toglierle autonomia.
<< Le donne hanno bisogno di un po' d’aria senza
che gli uomini stiano loro troppo addosso. >> spiegava agli amici
davanti ad una birra, mentre la nostalgia per lei oltrepassava i frizzi
alcolici.
<< Non posso più stare con te. >> lei
gli ripeteva ogni volta << Non me la sento più. >>
<< Ma perché? Cosa ho fatto? Spiegami cosa ho
fatto! Non capisco? >>
<< Nulla. Sei sempre un magnifico ragazzo. E’
colpa mia. >>
Lui sentiva l’abbandono della sua ragazza come una crudeltà
della vita. Sentiva la sicurezza con cui aveva affrontato il mondo spazzata via
come dall’onda di un immenso tsunami.
Lei si sentiva in colpa per la sua infelicità: lo vedeva
trattenere le lacrime che sarebbero scoppiate appena lei fosse stata lontana
dai suoi occhi.
Cosa era successo? Entrambi cercavano di razionalizzare.
Il tempo è il cambiamento. Sette anni rimodellano le montagne
di granito con cui un giovane crede d’essere fatto e fortificato.
Lui aveva sentito in lei la madre sorridente, confortante che
lo proteggeva e cresceva sicuro di sé davanti al mondo.
Lei lo aveva sentito come un compagno fedele come una roccia
con cui sentirsi sicura mentre cambiava il mondo… Ma Benedetta in più aveva
cominciato a sentire la vita che cambiava nel suo sangue, nella sua mente.
Anche in quell’addio lei sente nuovi orizzonti esistenziali che deve… no,
che vuole affrontare.
Lei si sente unica, non più la metà di qualcuno, anche se
quel qualcuno è stato il suo mondo per moltissimo tempo.
Lei sente stanchezza e dolore e comprensione per il male che
gli fa, ma nulla di più. E deve farlo per il bene di entrambi.
<< Sei mia. Non puoi lasciarmi così. >>
insiste Robi.
<< Ero tua… e tu eri mio. >> risponde
Benedetta << Ma è cambiato tutto… non so perché, ma è così. Ho cercato,
mi sono sforzata di sentirti come i primi tempi… mi spiace Robi, non ce l’ho
fatta. È colpa mia. Scusami per questo male che ti faccio. >> la
voce bassa, sinceramente piena di senso di colpa e nel contempo decisa.
Lui si sente stravolto come dopo una sbronza, schiacciato,
perso in un pozzo di sabbie mobili da cui si sforzava di strapparsi.
Perché ora è rifiutato se si era sempre comportato bene?
Addirittura, un modello per gli altri ragazzi?
Intanto Benedetta sente l’irrazionalità dei propri
sentimenti: perché abbandonarlo se lui era l’invidia delle altre ragazze?
Ma il cuore non batte più forte quando lo rivede. La sua
pelle non si illumina quando si abbracciano.
Era successo sempre… Finché era successo.
Lui non può capirlo mentre viene scaricato su una zattera
alla deriva nel Mare della Disperazione. Se avesse la lucidità mentale
razionalizzerebbe. La sua anima troverebbe quel po' di quiete che lo
rassenererebbe quel po' che serve per dispiacersi, piangere una settimana o due
e poi cercare un'altra compagna.
Ma da che è cominciata la crisi ha passato notti intere ad
occhi aperti nel letto, come un bambino sgridato e quasi rifiutato dalla madre.
La lucidità è stata sostituita dal grigio screziato di nero.
Anche Benedetta ha passato lunghe mezzanotti popolate da
fantasmi. Giorni e ricordi felici, ma appunto, fantasmi.
<< Senza di te non so cosa fare…>>
dice lui con una voce stridula fino al punto da far indovinare il pianto sul
punto di straripare.
L’eterno novembre dentro cui si sarebbe interrotto il tempo,
gli incombe addosso. Sente l’odore del male attorno, fin dentro la bocca ne
sente il sapore.
<< Eri mia, io ero tuo, siamo stati nostri.
>> ripete.
Lei sente in lui un cratere vulcanico emergente dalla crosta
terrestre. Fosse più saggia, riconoscerebbe i messaggi lanciati dalle proprie
intuizioni. Abbozzerebbe una vaga promessa di ripensarci, di riprovare a
mettere in moto la loro storia.
Lui, ormai dentro al vuoto, è ormai padrone solo di agghiaccianti
meteore mentali vecchie come la Bibbia e di terremoti psicologici ancora più
antichi. Sente rotolare addosso ad entrambi una inevitabile storia dell’orrore.
Tutto il suo mondo sicuro si sgretola in incalcolabili pezzi che ora franano
addosso ad entrambi, come lo aveva scosso ogni momento in cui si era assopito,
di notte come di giorno.
<< Rob… Mi spiace tantissimo Rob. Credimi: mi
sento colpevole ed anche vigliacca se vuoi. Sento che non ti merito. Troverai
di meglio, ne sono sicura. Io devo, sento che devo avere un’altra vita. Da
sola. Lo sai che non c’è nessun altro. Sento di volere un’altra vita… diversa. >>
lei parla a lungo. Parla per dargli tutte le spiegazioni possibili. Le solite
che si danno in queste circostanza, le stesse d’ogni storia d’amore.
È finita.
Definitivamente.
Benedetta gli dà un ultimo bacio sulla guancia.
Veloce, fraterno, definitivo come una morte.
Caldo nelle intenzioni, freddo come una medusa al tatto di
lui.
Dio solo sapeva perché lei non aveva preso precauzioni
nell’andare a quell’ultimo appuntamento.
Non c’era stato chiarezza di scienza, splendore di ovvia
psicologia.
Desideri nuovi e frustrazioni antiche si erano scontrati come
magma ed acqua polare.
“Lei è solo mia.” Rob deve averlo pensato all’ultimo
secondo della sua sabbia nella clessidra.
“Ora sono libera. Mi è spiaciuto da star male, ma dovevo
essere libera.” Benedetta deve averlo pensato mentre il suo Fato chiude con
lei.
E’ già cinquanta metri lontana. L’auto di Rob è un gioiello
di meccanica: cento all’ora in dieci secondi. Rob non è più corpo e mente: è
solo rabbia, dolore, paura e vuoto.
La schiena di Benedetta schiocca secca. Lei vola oltre
l’auto.
Lui riconosce il suo incubo ricorrente.
Ecco un obbligatorio muro.
Un attimo di caos… Buio. Basta dolore.
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Professor G.G. Montevenere. |
<< La morte ha brindato forte oggi. >>
borbotta il brigadiere. Si alleggerisce dalle brutture del suo lavoro con
romanticherie da fumetti western. Il maresciallo ha da tempo perso ogni
tentativo di consolazione. Come sempre sente il gelo del Male eterno. Lo sente
schiacciare il gelo su tutta la scena dell’assassino, della vittima, del
suicidio.
Professor G.G. Montevenere.
Storie di Andrea Re.
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